L’esperienza umana si dà in un orizzonte temporale, come ripresa del passato, presenza nel qui e ora, progetto che feconda il futuro. Memoria, consapevolezza e immaginazione devono cooperare se vogliamo che le nostre azioni abbiano un senso, liberandoci dal qualunquismo e dalla resa vile ai segni del comando. Il potere che domina questa epoca appiattisce purtroppo le nostre vite sul presente dell’immediatezza digitale e consumistica. Le nuove tecnologie, quando sono usate in maniera poco consapevole e irriflessa, imprigionano l’umano in un altrove istantaneo, sganciandolo dai suoi legami viventi, riducendolo all’attimo in assenza di ricordi e di sogni per il futuro.
Invece di demonizzare le tecnologie contemporanee, dovremmo comunque pensare – come suggerisce il filosofo e psicoanalista Miguel Benasayag – a ibridazioni consapevoli che facciano sì che siano la cultura e la vita organica a colonizzare il mondo digitale e non viceversa. A nulla servono i lamenti che oppongono, in maniera idealistica, un prima centrato sull’Uomo con un dopo centrato sulle Macchine. E questo perché gli umani sono da sempre creature che trasformano i loro ambienti mediante il lavoro e il fare tecnico.
Dipende da noi ripensare il nostro atteggiamento verso la tecnologia, uscendo dalla polarizzazione che oppone tecnofobi e tecnoentusiasti: illusi i primi, idioti i secondi. Si tratta, in verità, di aiutare più persone possibili a non smarrire lo spessore dell’esperienza umana, a convivere con le nuove tecnologie in maniera meno passiva, a porre quelle domande complesse che l’apparato tecno-capitalista vorrebbe bandire sostituendole con risposte statistiche e soluzioni di corto respiro. Bisogna, insomma, dare un corpo alla nostra vita quotidiana, con emozioni, sensazioni e desideri. Questo perché il corpo vissuto ci immette nelle situazioni concrete dell’esistenza e, nella sua molteplicità irriducibile, rifiuta derive unidimensionali. Insegniamo a noi stessi e ai nostri figli a respirare, a sentire, a fare amicizia con la natura incarnata che ci dà un posto conflittuale nel mondo, a non aver paura del dolore e della gioia. Soprattutto della gioia.
Paolo Bartolini
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